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Incontro con l'autore Giovanni Braida

La conoscenza della realtà delle deportazioni dei lituani durante la dittatura in Unione Sovietica è stata al centro di un incontro che si è svolto questa mattina (24 gennaio 2023) nell’Aula Magna del nostro istituto. A condurre gli studenti nell’affrontare il fenomeno ancora poco conosciuto è stato Giovanni Braida, docente e scrittore. L’insegnante, in particolare, ha preso spunto dalla trama del suo ultimo romanzo "Shekhinah" (ed. Pezzini, 2017). “Ho voluto raccontare la storia di Fyodor e Iveta - ha detto Braida - personaggi creati dalla mia fantasia ma posti all'interno di un quadro storico verosimile, quello delle deportazioni degli ebrei lituani e degli oppositori al regime, operate dai sovietici negli anni più crudeli della dittatura staliniana. Il romanzo è anche una storia di amore e redenzione, quella dell'ex guardia dell'NKVD (poi KGB) Fyodor e di Iveta, giovane ebrea lituana deportata nei gulag. Sarà l'amore di lei a redimere e riscattare dal senso di colpa Fyodor al termine di un lungo e drammatico percorso esistenziale. Il libro racconta una storia troppo spesso dimenticata che è importante far conoscere e ha il desiderio di far riflettere il lettore sul messaggio che “Amor omnia vincit”, l’amore vince ogni cosa, anche nelle situazioni più estreme e delicate.

Un brano del libro scelto dall’autore
“Vedi, Fyodor, la voce del tuo serdtse qualche volta parla troppo forte, e tu la prendi per quella del glubina dushy.”
“Spiegati meglio, per favore.”
Inclinò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. Poi si avvicinò e mise una mano sul mio braccio.
Sentii un fremito lungo la schiena e per poco non lasciai cadere il bocchino. Rimase seduta al
tavolo senza quasi alzare lo sguardo. Le colsi negli occhi un intenso bagliore. Era un bagliore che testimoniava la gioia e il desiderio di vivere.
“Quand’ero bambina, prima della deportazione, ogni venerdì pomeriggio andavo in sinagoga. Rav Moshe, un anziano rabbino, preparava noi ragazzine alla festa dello Shabbat, del Sabato. Un po’ come fate voi cattolici con il catechismo. Stranamente Rav Moshe nelle sue lezioni non usava mai il termine serdtse per cuore. Un sostantivo usato dai russi per intendere l’organo corporeo e qualche volta il centro delle emozioni. Lui utilizzava l’espressione della lingua russa glubina dushy: il cuore dell’anima, la profondità dell’anima. Un’espressione chiaramente spirituale. Riesci a seguirmi?”
Annuì col capo, cercando sul tavolo il pacchetto di sigarette.
“Non sempre il cuore è affidabile. Iveta. Talvolta ci inganna, ci racconta bugie.”
“E’ vero del serdtse, Fyodor, ma non del glubina dushy.”
Infilai la sigaretta nel bocchino e l’accesi. “Non sono sicuro di conoscere la differenza”.
“Sì, è questo il tuo vero problema.
“Suppongo di sì. Ma che cosa posso farci? Sono quello che sono.”
“Sciocchezze. Nessuno di noi è quello che pensa di essere. Ascolta, voglio raccontarti quello che mia madre mi disse poco prima di morire: “Iveta – mi disse – l’unico cuore intero è quello  spezzato.”
“Quello spezzato?” Dissi a disagio, guardandola negli occhi in cerca di un sorriso di conforto. Ora, però, lei non sorrideva più. Nei suoi occhi, al contrario, si potevano leggere amore, sofferenza, determinazione.
Mi rivolse uno sguardo velato di tristezza: “Credo che mia madre volesse dirmi questo: quando il tuo cuore, il serdtse, sarà completamente spezzato, allora, e solo allora, troverai il tuo vero cuore, quello spirituale, il glubina dushy.”

Contesto storico
Le deportazioni sovietiche dalla Lituania colpirono il paese dai primi anni del 1940 per dieci anni. La Lituania fu occupata dall'Unione Sovietica nel 1940 e nuovamente nel 1944, divenendo una repubblica socialista. Almeno 130 000 persone, il 70% delle quali donne e bambini, vennero coattivamente trasferite nei campi di lavoro e in altri insediamenti forzati in regioni remote dell'Unione Sovietica, in particolare nell'Oblast di Irkutsk e nel territorio di Krasnojarsk. Questi dati sugli spostamenti non includono partigiani lituani o prigionieri politici (circa 150 000 persone) spedite nei gulag. Le deportazioni dei civili avevano un duplice scopo: piegare la resistenza alle politiche sovietiche in Lituania e fornire manodopera gratuita nelle aree scarsamente abitate dell'Unione Sovietica. Circa 28 000 prigionieri morirono in esilio a causa delle precarie condizioni di vita: dopo la morte di Stalin nel 1953, furono rilasciati lentamente e gradualmente. Gli ultimi a lasciare la Russia lo fecero dieci anni dopo, nel 1963. Circa 60 000 di essi riuscirono a tornare in Lituania, mentre a 30 000 fu proibito di ristabilirsi in patria. La Lituania commemora ogni anno la Giornata del lutto e della speranza il 14 giugno in memoria dei deportati.

A cura del Prof. Alberto Gastaldi

Pubblicato il 24-01-2023